giovedì 20 dicembre 2012

UNA FANTASTICA AVVENTURA


                                                                         

                                                                          Siena, 1 Settembre 2012
Caro diario,

ti racconto una storia che ha dell’incredibile...

La settimana scorsa sono partita insieme ai miei per le solite vacanze estive, naturalmente in famiglia. Destinazione: Roma e dintorni. Due giorni dopo il nostro arrivo a Viterbo, mio padre mi annunciò che di lì a poco avremmo visitato un antico borgo della Tuscia, Bomarzo.

Già solo il nome mi aveva lasciata perplessa, comunque in men che non si dica arrivò il giorno della visita. Eccitati i miei, annoiata la sottoscritta, ci avviammo verso l’antico borgo. Ma appena scesi dalla macchina, ebbi l’impressione che qualcuno o qualcosa fosse alle mie spalle.

Mi girai e vidi uno strano animaletto dal pelo verde; incuriosita mi allontanai dai miei e lo seguii per un sentiero del boschetto vicino, da me completamente sconosciuto. All’improvviso mi ritrovai ad un bivio. Non vedendo più lo strano animale, mi sembrò opportuno seguire la segnaletica, ma l’unica indicazione era coperta da grandi foglie di edera e recava il nome “Sacro Bosco”.
 
 
 

A quel punto, mi decisi a seguirla . Dopo un paio di minuti mi trovai davanti ad un arco merlato il cui cancello era sormontato da uno strano stemma. Appena oltrepassato il cancello vidi venire incontro a me un cavaliere con la sua dama. Il cavaliere era un bel uomo, portava i capelli corti, una barba lunga e aveva gli occhi azzurri . Indossava una giubba corta abbottonata davanti sino al collo, rifinita da un collaretto verticale; portava delle brache che gli arrivavano fin sopra al ginocchio e sotto queste indossava delle calze molto aderenti.

La sua dama era splendida, i suoi capelli ,color rame, erano raccolti in morbidi chignon. Sopra l’acconciatura portava una reticella dorata adornata di perle . Il suo abito era bellissimo, indossava un corpetto con una scollatura quadra che metteva in risalto il collo e il seno incipriato, e una gonna voluminosa arricchita da pieghe. La sua bellezza veniva valorizzata anche dai vari gioielli che portava: orecchini a goccia, collana di perle e gioielli che ornavano il suo abito. Sembrava che i due fossero usciti da un quadro del Cinquecento.

Appena mi videro, mi condussero verso i viali del bosco misterioso e poi sparirono. Io un po’ spaventata, continuai a camminare, fin quando giunsi davanti ad alcune statue .
Nelle statue vi era inciso qualcosa, provai a leggerlo, ma non riuscii a capire molto, perchè scritto in latino, una lingua da me non molto conosciuta.

Ad un tratto sentii una voce, alzai lo sguardo verso la statua e mi accorsi che era stata proprio lei a parlare. Lì per lì non capii più nulla e iniziai a gridare, ma a interrompere il mio grido fu un rumore che proveniva da un cespuglio. Allora presa dal panico mi guardai intorno, quando vidi uscire dal cespuglio l’animaletto verde che mi aveva condotta sin lì. Questo si avvicinò a me e si presentò dicendomi il suo nome : Zimu, guardiano del Sacro Bosco. Inoltre mi disse il motivo per cui la statua mi aveva parlato; mi spiegò che io ero la prescelta e che al mio passaggio tutte le statue si sarebbero animate e avrebbero iniziato a raccontare le storie della loro vita. Il mio viaggio doveva concludersi prima che il sole tramontasse altrimenti il bosco sarebbe stato distrutto ed io mi sarei trasformata in una statua .

Dopo avermi spiegato tutto Zimu sparì e io mi trovai sola con due statue che avevano il corpo di un animale e la testa umana. Queste per darmi il benvenuto nel Bosco Sacro pronunciarono le parole incise nelle loro pietre e si presentarono come Sfingi .
 
 
 

Mi raccontarono che erano state dedicate all’imperatore Ottaviano Augusto, che le aveva scelte come sigillo privato perchè avevano la funzione di guardiane delle città sacre. Dopo avermi raccontato la loro storia le Sfingi mi indicarono il sentiero alla mia sinistra.

Continuai a camminare per questo sentiero, che mi portò davanti a quattro pilastri sormontati da una testa scolpita a tutto tondo, che al mio arrivo naturalmente si animarono e iniziarono a parlarmi. Una statua mi disse che il suo nome era Pan, lo spirito della natura e di tutte le creature naturali, aveva gli occhi spalancati, il naso camuso,la barbetta a punta. Vicino a Pan vidi le Ore , sulla sua testa una chioma ornata da frutta, che sottolineava il ruolo delle dee della fecondità. Insieme a Pan e alle Ore , vi erano altre due statue : una era bifronte, cioè aveva una faccia maschile ed una femminile, e l’altra a quattro facce, riferite a Giano e presumibilmente anche alle quattro stagioni. Queste mi spiegarono che erano state identificate con il nome di Erme, perché anticamente venivano costruiti per invocare Ermes, dio dell’Antica Grecia.
 
 
 

Dopo essersi presentate mi indicarono il sentiero da percorrere per arrivare dalle altre statue. Alla fine del sentiero mi ritrovai davanti ad un enorme statua; nel vederla mi suscitò un pò d’inquietudine e paura . Questa come tutte le altre al mio arrivo, si animò e si presentò a me come Proteo, dio marino, figlio di Oceano e Teti.

Mi raccontò della sua vita; risedeva abitualmente nell’isola di Faro, ogni mezzogiorno amava uscire dal mare e andare a riposare sotto l’ombra delle rocce, mi spiegò che aveva due capacità, quella di veggente e quella di cambiare forma ad ogni movimento . Spesso la gente voleva ricorrere alla sua facoltà di veggente sincero e veritiero, così per tentare di fuggire, si trasformava in modo che nessuno lo trovasse. Dopo averlo ascoltato capii che Proteo, di inquieto e spaventoso in realtà non aveva nulla ,era tutta apparenza , infatti lo invitai , porgendogli la mia mano , a dirmi cosa vedeva in me e nel mio futuro. Proteo mi disse che io era una persona molto coraggiosa , altruista, che non pensavo solo a me stessa ma anche al bene degli altri, e che avrei portato, non so se positivamente o negativamente, al termine il mio obiettivo.


Dopo essermi resa conto delle belle affermazioni che Proteo aveva proferito nei miei confronti, mi inoltrai in un sentiero pieno di vegetazione e animali , ma la cosa strana è che mi sembravano un tantino giganti. Allora pensai o sto sognando o questo posto è veramente irreale , alla fine del sentiero mi ritrovai dinanzi alla statua dei Giganti , Ercole e Caco.

 
L'INCONTRO CON ENEA
 
All'improvviso venni risucchiata da un vortice, così in men che non si dica mi ritrovai all'interno del libro VI dell' Eneide. Eccomi davanti ad Enea a Pallateo, capitale del piccolo regno di Evadro, mentre il re sta celebrando un rito in onore di Ercole. Per me fu una vera sorpresa essere dinanzi al principe troiano, figlio di Anchise e di Venere; è l' uomo che incarna il valore della PIETAS. L'eroismo di Enea consisteva, così affermava la mia professoressa, soprattutto nella capacità di portare fino in fondo il compito assegnatogli, assumendosi il peso delle rinunce, delle fatiche e delle sofferenze che la sua missione comporta. "Eroe del dovere" spesso definito, Enea non è immune dallo sconforto o dal dubbio o da qualsiasi sentimento della comune umanità.
Così lo guardai con interesse e molta curiosità, infatti con grande meraviglia assistetti non solo al racconto di Ercole e Caco ma fui spettatrice dell'arrivo di Enea. Evandro, insieme al figlio Pallante e ad altri concittadini, era intento a svolgere riti in onore di Ercole. Quando vedono le navi procedere lungo il fiume Tevere, Evandro e i suoi si fermano preoccupati.
Pallante vieta che il rito sia interrotto e, imbracciate le armi, si dirige verso la nave, chiedendo agli stranieri chi siano, quale è la loro patria e, soprattutto, se vengano a portare pace o guerra. Gli risponde Enea, “Troiugenas ac tela vides inimica Latinis, / quos illi bello profugos egere superbo, / Euandrum petimus”, vedi uomini di stirpe troiana e armi nemiche ai Latini, / che esuli ci respinsero con una guerra sprezzante, / cerchiamo Evandro (vv. 117-119). Il condottiero teucro chiarisce subito di essere venuto a cercare un’alleanza militare.
Il giovane figlio di Evandro è colpito dall’importanza dei nuovi ospiti e, offrendogli la destra, li invita a seguirlo e a parlare personalmente al padre.
Rivolgendosi al re, Enea fa leva su due concetti, la comune origine da Atlante e i comuni nemici latini. Questi sono i presupposti sui quali gli chiede di costruire una solida alleanza.
Evandro dapprima lo guarda, quindi con parole di stima e di affetto, ricorda la giovanile amicizia con
Anchise, che il volto di Enea gli rammenta. L’alleanza è per lui già stretta da lungo tempo. Invita, quindi, Enea e i suoi uomini a partecipare alla mensa.
Dopo la cerimonia il re racconta ad Enea la storia di Ercole e Caco, indicando all’ospite una spelonca, lì viveva il terribile Caco, figlio di Vulcano, terrore dei viandanti e degli abitanti di quelle terre. Lo spazio dinanzi alla sua grotta era sempre sporco di sangue e teste imputridite si trovavano all’entrata.
Ercole al ritorno dalla Spagna, reduce dall’uccisione del gigante tricorpore Gerione, con la sua mandria si fermò nel Lazio dove viveva Caco. Un giorno Caco rubò la mandria di Ercole facendola camminare all'indietro, così la condusse nel suo antro. Ercole cadde nel tranello e si allontanò, ma all'improvviso venne fermato dal muggito di una giovenca. Ercole molto arrabbiato scoperchiò la rupe, si calò e iniziò una lotta mortale con il suo feroce avversario Caco che si difese sputando fuoco e fumo. Da questa lotta Ercole ne uscì vincitore, alla fine trascinò fuori dalla spelona il corpo di Caco.

 
Gli abitanti del luogo per ringraziarlo per averli liberati dal mostro, gli dedicarono un rito; infatti ai tempi di Virgilio esisteva un'ara elevata nel foro boario fra Palatino e Avventino.
Dopo aver ascoltato con molto interesse il racconto, avvertii una strana sensazione, infatti prima della fine del rito sacro fui risucchiata da un nuovo vortice e mi ritrovai nuovamente dinanzi la statua dei Giganti.



LA MERAVIGLIOSA TARTARUGA


Ad un certo punto vidi un'enorme tartaruga che sosteneva sul dorso un simulacro di donna che, così mi parve, simboleggiava la vittoria alata, intenta a suonare uno strumento a fiato. L' enorme testuggine si trovava su un grande masso la cui estremità aveva la forma di una prua; ma la cosa che attrasse la mia curiosità fu lo sguardo della tartaruga...i suoi occhi sembravano guardare le fauci spalancate della balena posta accanto a me. A quel punto, come per sortilegio, mi ritrovai sul dorso della testuggine al posto della vittoria alata, e venni trasportata in un mondo sconosciuto.

 

Mi accorsi di un fiume in lontananza e di una piccola apertura che lasciava intravedere una bellissima pianura. Senza esitare mi diressi verso quel posto dove gli altissimi alberi producevano frutti dotati di poteri magici, ad esempio poter respirare nell'acqua e guarire dalle malattie.

Continuai a camminare senza incontrare nessuno, quando all'improvviso sentiì una voce: “Chi sei? Come hai fatto ad arrivare fin qui ? ” Mi girai ma non vidi anima viva, eppure qualcuno aveva parlato, ma chi?

Ad un tratto notai vicino ad un albero una piccola bambina che piangeva, “Piccola, qual è il tuo nome... Abiti in questo luogo...Puoi aiutarmi...Dove mi trovo ? ”
La graziosa bambina mi disse che si chiamava Azura, viveva in quella magnifica pianura che stranamente si trovava in Africa, il suo pianto era motivato dal fatto che la madre era stata ingoiata proprio dalla balena che mi aveva trasportato in quel luogo.
Come posso aiutarti ?” le chiesi. Lei mi rispose che l'unica soluzione era trovare la balena, solo così avrebbe potuto salvare la madre.

Così prendemmo i frutti magici degli alberi e ci immergemmo nel fiume. Dopo aver nuotato per un paio di minuti trovammo una cascata che ci scaravento dentro una enorme pozza d'acqua.
In fondo c'era una grotta, la dimora della balena. In quel momento solo un piccolo balenottero faceva da guardia. Entrammo con cautela e senza far rumore ma all'improvviso il balenottero si accorse di noi e lanciò l'allarme.
Così decisi di costruire un'arma con un paletto di legno e due fermagli di ferro per combattere contro le balene, guardiane del posto.
Nel frattempo Azura aveva trovato la madre molto malata; rubate le chiavi della prigione la liberò e le fece mangiare le foglie magiche dell'albero della pianura.

Io con coraggio affrontai la balena, cercai di distrarla per consentire la fuga ad Azura e alla madre. Ma all'improvviso mi accorsi che per me non c'era più nulla da fare...la balena stava per mangiarmi, così chiusi gli occhi e pensai per l'ultima volta ai miei genitori. Quando li riaprii mi ritrovai sul dorso della tartaruga nel Sacro bosco.

Nelle mie mani avevo ancora qualche foglia dell'albero magico...Chissà magari erano state proprio loro a salvarmi. Notai infatti delle piccole incisioni che pian piano si trasformarono in lettere; nella foglia più piccola c'era scritto coraggio, nell'altra amicizia.



PEGASO E LA DEA DELL'AMORE


Quando mi ritrovai nel Sacro Bosco vidi accanto alla maestosa testuggine, un cavallo dalle bellissime ali. Riconobbi subito il mitico Pegaso che con mia grande felicità mi invitò a salire sulla sua groppa. Era proprio un'occasione da non perdere, accettai senza pensarci due volte...Così iniziò il mio fantastico volo verso l'ignoto.

All'inizio ero un po' timorosa, poi mi feci coraggio e chiesi a Pegaso di raccontarmi la sua storia; lui accettò.




- Cara Giulia, – disse con voce altisonante – la mia nascita è avvenuta in modo molto insolito. Mia madre era Medusa, famosa per la sua bellezza in particolare per i suoi capelli fluenti, e mio padre Poseidone era il dio del mare e dei cavalli. La loro unione si consumò nel tempio di Atena, la quale per punire l'oltraggio, decise di vendicarsi. Infatti trasformò i capelli di mia madre in serpenti e non contenta di ciò, le donò un orribile potere, quello di trasformare in pietra gli uomini con un solo sguardo.

-Ma come è stato possibile tutto ciò ?- risposi, e lui continuò dicendo – Tutto è possibile, mia cara ragazza, ma aspetta la mia storia non è finita qui. Perseo decapitò la mia povera mamma e da lì nacqui io, magico cavallo alato, e Crisaore, uomo-guerriero armato di spada.

Successivamente volai sul monte Elicona mentre era in corso una gara di canto tra le Muse e le Pieridi. Era così bello quel canto che mi commossi al punto che con un colpo di zoccolo colpii il monte e da lì nacque la sorgente del cavallo, Ippocrene, nella quale le Muse si dissetavano. Così divenni per tutti fonte di ispirazione e di poesia.-

Ero cosi interessata al suo racconto, che non mi accorsi del tempo che stava passando.
Avevo una missione da compiere e non potevo sprecare altri minuti preziosi.

Così gli chiesi con estrema curiosità - Certamente la tua vita è stata ricca di avventure. Ma se non sbaglio, la mia professoressa di Letteratura greca mi aveva parlato di un valoroso cavaliere, Bellerofonte.-

-Si, ricordi bene. Sai. io non sono mai stato montato da nessuno prima di Bellerofonte, infatti egli chiese aiuto alla dea Atena che gli donò delle briglie d'oro. Con queste riuscì a catturarmi una sera al tramonto mentre stavo dissetandomi alla fonte. Da quel momento diventammo inseparabili, fino a quando il padre degli dei, Zeus, per castigare la sua eccessiva ambizione ( voleva salire fino all'Olimpo per diventare immortale),mandò un tafano che mi punse provocando la sua caduta e conseguentemente la sua morte. A quel punto rimasi con Zeus che mi incaricò di trascinare nel cielo il suo mitico carro con le folgori. Ma non passò molto tempo che presi il volo verso la parte più alta del cielo dove mi trasformai in una costellazione.


All'improvviso mi accorsi di trovarmi nei pressi di una fonte dedicata a Venere, dea dell'amore. La statua della divinità si trovava al centro di una grotta. A quel punto Pegaso mi invitò a scendere dalla sua groppa; così ci inoltrammo all'interno della cavità.
-Giulia- mi disse- adesso ti porterò in un luogo che sicuramente avrai studiato a scuola...Guarda in fondo...Vedi quella luce. Non avere paura...fissala .-
Cosi feci e con mia grande meraviglia mi ritrovai ad assistere ad un banchetto.
Pegaso era scomparso, al suo posto una strana immagine con molti visi e molte voci.

Passato qualche minuto l'immagine iniziò a parlare.
-Cara fanciulla, ho l'impressione che tu non riesca a capire dove ti trovi e soprattutto chi io sia.-
-Effettivamente non ti sbagli- risposi con voce tremolante.

Mi raccontò di essere Omero, l'autore dei grandi poemi dell'antichità. La sua missione sarebbe stata quella di raccontarmi la causa della guerra di Troia.
A quel punto capii di essere presso il banchetto che Zeus, il padre degli dei, aveva allestito per la celebrazione del matrimonio di Peleo e Teti, futuri genitori di Achille.

-Piccola creatura mortale- continuò Omero- devi sapere che Eris, la dea della discordia, non era stata invitata, così irritata per questo oltraggio, raggiunse il luogo del banchetto e gettò una mela d'oro con l'iscrizione "alla più bella".
Al banchetto partecipavano tre dee, Era, Atena e Afrodite. Esse parlarono con Zeus per convincerlo a scegliere la più bella tra loro, ma il padre degli dei, stabilì che a decidere chi fosse la più bella non potesse essere che l'uomo più bello e cioè Paride, principe di Troia, figlio di Priamo e di Ecuba. Ermes fu incaricato di portare le tre dee dal giovane troiano, ognuna di loro gli promise una ricompensa in cambio della mela: Atena lo avrebbe reso capace di modificare eventi e materia a suo piacimento; Era lo avrebbe reso così ricco che i suoi forzieri non sarebbero bastati a contenere il suo oro; Afrodite avrebbe appagato i suoi desideri amorosi concedendogli in sposa la donna più bella del mondo, Elena. Paride favorì di gran lunga quest'ultima scatenando l'ira delle altre due. La dea dell'amore aiutò Paride a rapire Elena, moglie di Menelao, re di Sparta. Questo fatto portò successivamente alla guerra di Troia, ragione per cui il pomo d'oro fu chiamato anche “Pomo della discordia”.

-Ma dimmi- continuò il poeta cambiando nuovamente voce e faccia- ti piacerebbe sapere qualcosa in più di Afrodite, la dea dell'amore? -

-Certamente – risposi.

Allora ascolta attentamente ...Afrodite è figlia di Zeus e della ninfa degli oceani Dione.
A causa della sua immensa bellezza, Zeus temeva che sarebbe stata causa di lite tra gli altri dei e la diede in sposa ad Efesto, dio del fuoco, di brutto aspetto, ma dedito al lavoro.La dea non contenta del suo matrimonio intrecciò molte relazioni amorose in particolare, è famosa, a voi mortali, la relazione con il dio della guerra Ares.
I due furono scoperti da Efesto e, imprigionati in una rete metallica da lui stesso lavorata. L’unico in grado di resistere al suo fascino fu Narciso, un bellissimo giovane; chiunque lo vedesse, si innamorava di lui, ma Narciso, li respingeva tutti, anche la dea dell’amore. Offesa Venere lo condannò a soffrire per un amore non corrisposto. Un giorno il ragazzo, mentre era nel bosco, si imbatté in una pozza profonda. Non appena vide la sua immagine riflessa, si innamorò perdutamente del bel ragazzo che stava fissando, senza rendersi conto che era lui stesso. Solo dopo un po' si accorse che l'immagine apparteneva a lui; comprendendo che non avrebbe mai potuto ottenere quell’amore, si lasciò morire e si trasformò nel fiore che da lui prende il nome, Narciso.-


Non appena ebbe finito di parlare Omero mi fece cenno di avvicinarmi al banchetto del padre degli dei. Esitai un attimo, poi mi sedetti nell'unica sedia vuota intorno al tavolo, proprio vicino ad Afrodite. Il cuore batteva all'impazzata e la bocca non riusciva ad emettere alcun suono comprensibile. Non potevo credere di essere ospite di una festa organizzata da Zeus e per di più seduta vicino la dea dell'amore.

All'improvviso con mia grande meraviglia Afrodite mi rivolse la parola.
-Sicuramente, graziosa mortale, avrai conosciuto Enea, uno dei miei figli.-
Io feci solo un cenno con la testa, ero troppo emozionata per proferir parola.
-Ho avuto molti amori più o meno importanti, - continuò la dea- dai quali sono nati mortali e divinità, ad esempio Eros...Ricordo la sua storia d'amore con una bellissima ragazza, Psiche, la quale affrontò le prove che io stessa le avevo richiesto, pur di coronare il suo sogno d'amore, l'unione con mio figlio Eros. Sai, ero molto gelosa della sua bellezza, quindi volevo vendicarmi facendola innamorare del più brutto tra gli umani...Ricordati che il vero amore trionfa sempre...non dimenticare queste mie parole, ti saranno d'aiuto nella tua vita da mortale. Ma adesso vai...Pegaso è tornato per riportarti nel Sacro Bosco...Fai buon viaggio, mia cara !-

Così mi alzai frettolosamente dalla sedia , salii in groppa al cavallo alato e dall'alto salutai con cenno della mano Omero, che alquanto soddisfatto mi sorrideva.
In men che non si dica mi ritrovai al centro della radura luminosa.



L'INCONTRO CON I PRINCIPI ORSINI


Qui intravidi un'imponente e misteriosa costruzione rappresentata da un edificio costruito con blocchetti di pietra squadrata, che si presentava al centro in forma di emiciclo, ritmato da cinque nicchie rettangolari che proseguivano ai lati. Mi parve essere un teatro...

Con mia grande sorpresa vidi lo strano animaletto verde che mi aveva condotto fino al Sacro Bosco, così mi avvicinai e gli chiesi: - Zimu, dove ti eri cacciato? Il cavaliere e la dama che ho incontrato all'ingresso del giardino, dove sono finiti ? E soprattutto chi sono ?-

E lui rispose :- Ti stavo aspettando, mia cara. Mi fa piacere che ti sei accorta della nostra assenza. Siediti qui vicino a me su questa pietra e ti racconterò tutto.
Vedi il cavaliere e la sua dama sono i padroni del Sacro Bosco, precisamente Vicino Orsini e sua moglie Giulia Farnese, morta in giovane età. Per questo, così si racconta, il principe innamoratissino della consorte, volle costruire questo meraviglioso luogo “ sol per sfogar il core... “. Devi sapere inoltre che queste nicchie rettangolari, un tempo erano occupate da specchi, simbolo della vanità e del passar del tempo.-

Sempre più incuriosita chiesi a Zimu :- Che coincidenza, la dama porta il mio stesso nome ! Ma ho l'impressione che non sia un caso o sbaglio ?-
Lo strano animaletto confermò i miei sospetti con un dolce sorriso; poi mi indicò di seguirlo per un piccolo vialetto verso un'ulteriore costruzione chiamata Casa pendente.Lì avrei trovato Vicino Orsini e sua moglie Giulia.

Appena li vidi, i dubbi sul perchè del mio viaggio svanirono...
Non solo portavo lo stesso nome della moglie del principe, ma additittura le assomigliavo moltissimo. Il mio cuore era impazzito e i miei occhi del tutto annebbiati.

Cara Giulia- mi disse Vicino Orsini- non avere paura, avvicinati...Ti abbiamo aspettato per secoli, finalmente la tua missione permetterà di salvare il mio giardino e di riunirmi per sempre alla mia cara consorte Giulia. La vita terrena non ci ha permesso di vivere per lungo tempo insieme, ma adesso possiamo farlo per l'eternità, grazie al tuo fantastico viaggio. Adesso vai, il sole sta per tramontare, non ti resta molto tempo...Buona fortuna ! -


ARIANNA, LA NINFA DORMIENTE

Dopo il lungo racconto di Venere, mi trovai al centro della radura luminosa dove vidi un edificio costruito con blocchi di pietra squadrata . Al centro un emiciclo ritmato da una serie di cinque nicchie rettangolari , scandite a loro volta da altre due nicchie .

Questo è il teatro , cara Giulia – disse il cavaliere – qui potrai riposarti un po’. -

Ma io fui subito attratta da una strana costruzione : la casa pendente, costruita su di un masso inclinato . All’improvviso sentii una voce provenire da un vecchio barbuto che dominava una vasca tenendo per mano un piccolo delfino . Di fianco un altro delfino, ma molto più grande con la bocca aperta nell’atto di parlare.

-Salve a te , piccola Giulia – disse il barbuto - Sono Nettuno, il fratello di Zeus , il Dio del mare e il protettore dei cavalli, colui che scatena i terremoti.
 
 
 

Mio padre Crono divorava i suoi figli alla nascita per evitare di cadere vittima della profezia che a sua volta lo condannava in un futuro ad essere spodestato dai suoi figli . Ma Rea, moglie di Crono, stufa di vedersi divorare tutti i figli, alla nascita dell’ultimo, Zeus, mise in atto uno stratagemma: sostituì il piccolo con un sasso e lo copri con delle fasce affinchè il marito non scoprisse l’iganno e lo divorasse.Una volta cresciuto mio fratello, Zeus, potè affrontare Crono e liberare tutti i suoi fratelli costringendo nostro padre ad espellerli dal suo ventre . Così a sorte ci dividemmo i vari regni ed io divenni il Dio dei Mari.

In età adulta presi in moglie Alia, la quale partorì sei figli maschi ed una figlia femmina di nome Rodo. Inoltre ebbi molte amanti. Fu proprio a causa della relazione sentimentale con il Dio del mare se Medusa venne trasformata nel mostro con i serpenti al posto dei capelli che tutti conosciamo. Infatti si narra, che Medusa consumò la sua unione amorosa con il possente Dio sul pavimento di un tempio dedicato ad Atena, la quale per vendicarsi della sfacciata mancanza di rispetto trasformò la giovane in un orribile mostro in grado di pietrificare ogni essere vivente che avesse incrociato il suo sguardo.

Alla fine del suo racconto Nettuno indicò con lo sguardo e la mano destra , la ninfa dormiente chiamata anche ‘’ la bella addormentata nel bosco ‘’. La ninfa è coricata , sembra a metà strada fra sonno e morte .

-Non disturbiamo il suo sonno.Ti racconterò io la sua storia- continuò Nettuno-
Arianna è la figlia di Minosse, re di Creta , e di Pasifae. Sfortunatamente si innamorò di Teseo, al quale donò un gomitolo di filo d'oro per uscire dal labirinto dopo aver ucciso il Minotauro . La ragazza fuggi con Teseo e dopo una sosta giunse nell’isola di Nasso, in quel momento la povera Arianna venne abbandonata da quello che credeva essere il suo amore.-
Nettuno non aveva ancora finito di parlare, quando Arianna si svegliò e mi invitò a visitare la sua isola, Creta.

Rimasi letteralmente sbalordita, era un posto meraviglioso pieno di fascino e mistero.
Mi ritrovai dinanzi al cortile, posto nella parte occidentale del palazzo di Cnosso, proseguii attraverso il corridoio delle processioni ed il portico dei grandi propilei. Poi salii al piano superiore dove visitai la sala ipostila con il soffitto piano sorretto da colonne.Ma il mio ricordo rimarrà per sempre legato alla visione del dipinto con i delfini...semplicemente stupendo...
Proseguendo verso l'ingresso settentrionale, dove giungeva la strada reale, incontrai il quartiere domestico e il grande magazzino con delle giare in terracotta.
Sai piccola Giulia, - mi disse Arianna- mio padre Minosse si arrabbiò moltissimo per via della faccenda del Minotauro, così rinchiuse l'architetto Dedalo e suo figlio Icaro nello stesso labirinto.Ma Icaro con delle ali di cera tentò di scappare, sfortunatamente si avvicinò troppo al sole e le sue ali si sciolsero. Così il padre Dedalo si nascose presso la corte di re Cocalo in Sicilia. Mio padre non si arrese alla sua fuga e inventò una stratagemma: tutte le corti reali avrebbero dovuto risolvere un indovinello...-

Con grande curiosità chiesi ad Arianna di cosa si trattasse, e lei mi rispose.
 
-Vediamo se anche tu riuscirai a risolverlo. Com' è possibile far passare un filo in una conchiglia spiraliforme ?-
-Ma è impossibile far passare un filo in una conchiglia...- risposi con decisione.
-Invece no, la corte siciliana e quindi Dedalo diede la giusta soluzione. Bisogna legare un filo ad una formica, poi con una goccia di miele attirarla nella conchiglia. Quando mio padre ebbe comunicato la soluzione dalla corte, capii subito che Dedalo si trovava lì, ma non riusci a vendicarsi lo stesso. Infatti venne ustionato dalle figlie di Cocalo mentre faceva un bagno.-
Al termine del racconto sorrisi timidamente per due motivi, il primo per l'astuzia di Dedalo, poi per la brutta fine del re Minosse.


LA BATTAGLIA DI CANNE

Dopo aver sostato con il cavaliere e la sua dama su un sedile posto di fronte alla torre quadrata, ritornai indietro e superato il piazzale dei vasi ecco apparire dinanzi a me la statua di Cerere, colei che ha in se il principio della crescita. Cerere fu l’ unica statua che al mio passaggio non si animò, ma con gli occhi mi indicò di avviarmi verso un enorme elefante.
All’ improvviso notai vicino alle zampe dell’ elefante un uomo sicuramente greco, che mi guardava e mi tendeva le mani. Non sapendo cosa fare lo assecondai.
L’ uomo mi sorrise e si presentò: -Salve a te, nobile Giulia, sono Polibio, figlio di Licorta e stratega della Lega Achea, uno dei più importanti storici greci del mondo mediterraneo. Sono conosciuto anche per aver perfezionato un utile strumento di telecomunicazione inventato da Democlito che attraverso segnali di fuoco permetteva la facile trasmissione di messaggi. Inoltre in una delle mie opere “Storie” ho raccontato ai posteri le guerre puniche tra Cartagine e Roma.
Adesso, mia cara, ti starai chiedendo che cosa rappresenta la statua dell’elefante. Esattamente la battaglia di Canne, quando il grande Annibale sconfisse i romani. Seguimi e ti racconterò tutto.

La battaglia di Canne del 2 agosto del 216 a.C. è stata una delle principali battaglie della seconda guerra punica. L' esercito di Cartagine, comandato da Annibale distrusse gran parte di un esercito superiore della repubblica romana guidata da Lucio Emilio Paolo e Gaio Terenzio Varrone. Fu considerata una delle più pesanti sconfitte di Roma.
Dopo le sconfitte delle battaglie di Trebbia e del lago di Trasimeno, i romani si organizzarono e affrontarono Annibale a Canne con circa 86000 tra romani e truppe alleate. I romani adottarono una formazione più serrata, mentre Annibale utilizzò la manovra a tenaglia, esempio di scaltrezza e abilità. Questa manovra fu efficace e l’esercito romano fu annientato come forza di combattimento.
Del resto Annibale, impadronendosi della città di Canne, si era messo tra i Romani e le loro fonti di approvvigionamento, in quanto proprio lì avevano raccolto il grano e altri vettovagliamenti.
Devi ricordarti, cara fanciulla, che oltre a essere una delle più grandi sconfitte mai inflitte all'esercito romano, la battaglia di Canne rappresenta l’archetipo della battaglia di annientamento. Successivamente Capua e altre città, alleate di Roma, si schierarono con Cartagine.”
Concluso il suo racconto Polibio mi indicò di guardare verso l'orizzonte...Con mia grande sorpresa vidi Annibale intento a contare gli anelli dei cavalieri romani uccisi in battaglia.
Terminata la storia mi ritrovai di nuovo vicino la statua dell’ elefante ma di Polibio nessuna traccia, cosi continuai il mio fantastico viaggio.



IL DRAGO E LA PORTA DEL TEMPO

Ad un certo punto del mio viaggio, incontrai un enorme drago e un orribile orco, entrambi di pietra. Incuriosita chiesi al mio accompagnatore Zimu che cosa rappresentassero, lui mi rispose che si trattava del drago, simbolo delle stagioni, e della porta del tempo. Se solo avessi voluto, avrei avuto la possibilità di entrarvi e di esprimere un desiderio. Così decisi, sebbene il timore sembrava bloccare le mie gambe, di avventurami dentro le oscure fauci dell'orco. Prima però, notai che sulle sue labbra di pietra c'era incisa una frase: “Ogni pensiero vola”. Appena entrai, vidi un tavolo di pietra luccicante che mi pregò di avvicinarmi ed esprimere il mio desiderio. Forse vi sembrerà strano ma in quel momento ero curiosa di sapere la verità sui grandi amori della storia. Così poggiai le mie mani sul tavolo e all'improvviso vidi... Amore e Psiche, Marco Antonio e Cleopatra, Romeo e Giulietta, il principe Orsini e sua moglie Giulia ed infine i miei genitori. Ebbi così la certezza che la mia nascita non era stata casuale ma dettata dall'amore di due esseri umani.
 


Ricaricata, uscii dalla bocca dell'orco e continuai a vagare per il misterioso giardino.



Dopo qualche minuto di cammino, incontrai forse una delle più belle e maestose statue del sacro bosco, quella del drago, il cui compito era quello di vegliare sulla purezza delle acque del giardino. La statua del drago, che avevo precedentemente intravisto, era attacata da tre belve : un cane, un leone ed un lupo che simboleggiavano la primavera , l'estate, l'inverno ma nello stesso tempo rappresentavano il presente, il fututo ed il passato.
Ad un tratto venni ipnotizzata dagli occhi del drago, rossi come il fuoco; rimasi li a fissarlo per un pò perchè il tutto era molto strano. Pensai... una statua con gli occhi che sembrano veri, che diavoleria sarà questa! Il drago non resistette più e si fece scoprire, io continuai a guardarlo, a fissarlo, volevo capire se fosse buono o cattivo. Dopo qualche minuto iniziammo a conversare.

Il drago, essendo il simbolo del tempo, poteva spostarsi nel passato, nel futuro e poi ritornare in un battibaleno nel presente; le tre belve cercavano di distruggerlo perchè non possedevano i suoi stessi poteri infatti il lupo ,che rappresentava l'inverno, poteva spostarsi solo nel passato, il cane, simbolo della primavera, rimaneva nel presente ed infine il leone che simboleggiava l'estate, poteva spostarsi solo nel futuro.. Questa storia andava avanti da secoli e secoli! Il drago non ne poteva più, quando si accorse della mia presenza pensò di scomparire da quel giardino!

A quel punto il drago schioccò le dita e tornammo indietro milioni e milioni di anni.


La terra a quei tempi era completamente diversa, sia come clima che come geografia, permetteva ai dinosauri grandi spostamenti in cerca di cibo, perché i continenti erano tutti attaccati fra loro. Popolarono la terra e la dominarono per ben 160 milioni di anni, adattandosi ed evolvendosi sempre più ai cambiamenti della Terra durante queste ere.

In pochi minuti mi spostai dal Triassico al Cretaceo passando per il Giurassico.
Inizialmente fu bello, perchè vidi cose straordinarie, mai viste da nessun uomo prima , ma li incontrammo il lupo, che ci trasportò in una foresta oscura. Con una terrificante magia il lupo fu raggiunto dal cane e dal leone. Così misero insieme i loro poteri e ne crearono uno solo molto potente.

Il drago ebbe molta paura perchè con il freddo gelido ed il caldo afoso, si scatenò un terribile terremoto; ci furono forti piogge , vento e saette nello stesso momento.
Io non potevo sopportare tutto questo sia per la mia natura umana, sia per le condizioni in cui si era ridotto il povero drago. Così gridai , urlai più forte che potevo , mi misi a piangere perchè avevo molta paura; ad un tratto le mie lacrime caddero sulla terra e così si sistemò tutto. Le tre belve diventarono per sempre tre statue senza vita, la foresta oscura diventò un posto bellissimo con un prato pieno di fiori e un cielo azzurro senza nuvole ! Il drago fu molto felice perchè l'avevo salvato dalle tre terribili fiere. Ritornai nel giardino e continuai la mia passeggiata.


Ah dimenticavo, caro diario, devi sapere che il lupo, ed il leone, così mi riferì Zimu, erano proprio gli stessi animali che avevano spaventato Dante nella selva oscura...



IL VELLO D'ORO E LA FANTASTICA AVVENTURA DEGLI ARGONAUTI

Continuando a camminare mi imbattei in una strana scultura, sembrava un montone o qualcosa di simile.

Incuriosita, come al solito, decisi di avvicinarmi per capire meglio di cosa si trattasse; Zimu mi disse che dinanzi a me c'era il mitico montone dal vello d'oro che Frisso aveva aiutato a fuggire in Asia minore. Il vello d'oro divenne poi l'obiettivo della spedizione degli Argonauti.

L'animale innocuo e mansueto mi invitò a cavalcarlo affinché potesse raccontarmi la sua storia. Così iniziò...

-Un tempo, a causa di un oracolo ingannevole, Atamante , re di Beozia, era stato in procinto di sacrificare il figlio Frisso avuto da Nefele. In lacrime, avrebbe adempiuto ciecamente al verdetto oracolare se non fosse apparso Eracle a distoglierlo dal gesto. In seguito Ermes inviò dal cielo un ariete alato dal vello interamente d'oro. Appena giunsi al cospetto di Frisso, iniziai a parlargli, ordinandogli di montarmi in groppa. Il ragazzo accettò l'invito e volò in questo modo verso la Colchide dove, una volta giunto, mi sacrificò. Ma il mio vello d'oro rimase intatto e così fui tenuto come un grande tesoro dagli abitanti del luogo.-
A quel punto chiesi degli Argonauti e della loro missione, così il vello d'oro continuò il racconto...
 
-Pelia, re di Iolco, figlio naturale di Poseidone, divenne re alla morte di suo padre adottivo Creteo, nonostante il legittimo erede fosse suo fratello Esone. Avvisato da un oracolo che un discendente di Eolo lo avrebbe ucciso, fece sterminare chiunque avesse un rapporto di discendenza col dio dei venti: tutti tranne Esone, che nel frattempo aveva avuto un figlio di nome Giasone.

Pelia gli narrò così di essere tormentato dall'ombra di Frisso, a cui mai era stata data degna sepoltura. Inoltre aggiunse che, secondo un oracolo, la loro terra sarebbe rimasta sempre povera fino a quando non fosse stato riportato in patria il vello d'oro, custode dell'anima di Frisso. Giasone accettò l'incarico, in cambio Pelia avrebbe restituito il trono non appena l'eroe fosse ritornato con il vello.
Giasone inviò araldi in tutte le terre dell'Ellade per ottenere aiuti.-
 
Appena il vello d'oro iniziò a raccontarmi le fantastiche avventure degli Argonauti, vidi un'ombra avvicinarsi sempre di più; naturalmente ebbi paura ma Zimu mi rassicurò dicendomi che si trattava dello spirito di Giasone che con voce sottile iniziò a parlarmi.
-Gentile fanciulla, devi sapere che fin dall'inizio del mio viaggio dichiarai le mie intenzioni: accompagnato dai figli di Frisso, intendevo recarmi nella città di Ea, su cui regnava Eete, per rivendicare, con maniere gentili, il prezioso oggetto. Solo al rifiuto di Eete avrei attaccato battaglia.

Ma Eete, cui un oracolo aveva predetto la fine del suo regno se il vello d'oro fosse stato sottratto, per tutta risposta si infuriò.
A quel punto non risposi alla collera con l'ira: i miei modi furono tanto educati che Eete quasi cambiò idea. Volle contrattare, ma le sue condizioni rimasero inaccettabili.

Per recuperare il vello d'oro avrei infatti dovuto: aggiogare all'aratro due feroci tori dagli zoccoli di bronzo e dalle narici fiammeggianti, fiere bestie di proprietà di Efesto, il dio dell'ingegno; tracciare quattro solchi nel terreno chiamato Campo di Marte e seminarci dei denti di drago.
Nell'udire le sue condizioni rabbrividii, ma in mio aiuto intervenne Eros, il dio dell'amore, che fece si che Medea, figlia di Eete, si innamorasse di me.

La principessa, abile maga, mi diede una pozione nella quale era infuso il sangue di Prometeo che mi avrebbe protetto dal fuoco dei due tori.

Arrivato il giorno atteso per la prova, molti erano gli spettatori che si erano riuniti per assistere all'evento, fra cui lo stesso re. I tori bruciavano l'erba con il fuoco; con grande fatica riuscì a domare le bestie, le costrinsi così ad arare per tutto il giorno.
Nella notte iniziai a seminare i denti del drago, da ciascuno dei quali spuntò dalla terra un guerriero; alla fine si formò un esercito che si rivolse contro di me. Medea lanciò un altro potente incantesimo grazie al quale scagliai in mezzo a loro un enorme masso, creando una nube di polvere e molta confusione. I guerrieri iniziarono ad uccidersi fra loro e continuarono a farlo fino a quando non ebbi eliminato personalmente i pochi sopravvissuti.

Anche se superai queste prove impossibili, il re Eete si rimangiò la parola data, minacciando di dar fuoco alla nave Argo e di ucciderne l'equipaggio. Allora Medea mi guidò nel luogo dove il vello era nascosto. Un enorme drago immortale e dalle mille spire, faceva da guardia. Medea con i suoi incantesimi riuscì ad ammaliare il drago fino a farlo addormentare. Io approfittando del momento, staccai dai rami della quercia il vello d'oro e lo portai con me.Durante il ritorno, seguendo un altro dei saggi consigli di Fineo, gli Argonauti, inseguiti dalle galere di Eete, navigarono attorno al Mar Nero nel senso contrario al giro del sole.-
 
Appena Giasone pronunciò le sue ultime parole, mi ricordai che dovevo sbrigarmi...il sole stava per tramontare.






L'INCONTRO CON PROSERPINA

Ad un certo punto del mio viaggio, praticamente quasi alla conclusione, incontrai la statua di Proserpina che con grande passione mi raccontò la sua storia.
 
 

All'inizio dei tempi, sulla terra splendeva sempre il sole e faceva sempre caldo. I prati erano coperti di fiori e nei campi crescevano frutti, verdure e frumento tutto l'anno.
Mia madre, la Dea Cerere seminava, innaffiava le piante e faceva sì che gli alberi fiorissero e dessero frutti. Nel frattempo io giocavo nei verdi boschi della Sicilia.
Tra gli Dei, c'era Plutone, il Dio dei morti, il quale non viveva insieme a tutti gli altri Dei sul Monte Olimpo, ma regnava sotto terra.
Ogni tanto Plutone saliva in superficie per spiare la vita sulla terra, ma la luce del sole gli faceva male agli occhi ed inoltre, vedere tanta bellezza e tanto splendore, lo rendeva ancora più triste. Un giorno Plutone mi scorse mentre raccoglievo fiori.
Quando mi vide, si innamorò e decise di rapirmi.
Salì quindi sul suo carro nero, lanciò i cavalli al galoppo e mi afferrò per i capelli.
Quando giungemmo al fiume Acheronte, che separa il regno dei vivi dal regno dei morti, gridai al punto che anche il fiume s'impietosì, e cercò di far cadere Plutone afferrandolo per le gambe.
Ma Plutone scalciò con forza e si liberò ed io, disperata, mi tolsi la cintura di fiori che avevo in grembo e la lanciai nel fiume , affinché le acque potessero portare a mia madre il mio messaggio.
Così arrivammo nel regno dei morti e, mentre Plutone cercava di consolarmi dicendomi che sarei diventata regina, sulla terra era sceso il tramonto.
Cerere mi cercò disperatamente in giro per il mondo ed intanto, per il dolore e la disperazione, smise di seminare sicché, il frumento ed i frutti , smisero di crescere.
Dopo nove giorni e nove notti vissuti senza sonno e senza cibo, il decimo giorno mia madre si sedette stanca e disperata lungo la riva di un fiume fino a che scorse , accanto a lei, una piccola cintura di fiori.
Per il dolore, Cerere non si curò più della terra e quindi cessò la fertilità dei campi e vennero i tempi della carestia e della morte. Giove, vedendo la fame sterminare intere popolazioni, mandò i suoi messaggeri ad ammansirla , ma lei, irremovibile nel suo dolore, rispondeva che sarebbe tornata alle cure della terra solo se fossi tornata .
Giove decise allora d'inviare immediatamente Mercurio ad avvisarmi affinché non toccasse cibo, ma Mercurio arrivò troppo tardi.
Plutone infatti aveva fatto preparare un pranzo succulento ed appetitoso ed io cedetti per la fame davanti a rossi e succosi chicchi di melograno (simbolo d'amore), che Plutone, furbamente, mi aveva messo nella mano.
Plutone me ne porse una dozzina e , quando arrivò Mercurio, io purtroppo ne avevo già assaggiati sei. Scoppiai in lacrime quando venni a sapere della legge divina per cui, colui che mangia anche un solo boccone mentre si trova nel regno dei morti, non può più ritornare sulla terra.
Allora Giove, mosso a compassione, decise che , avendo mangiato sei chicchi di melograno, avrei vissuto nel regno dei morti insieme a Plutone per sei mesi all'anno ed i rimanenti sei mesi avrei vissuto sulla terra insieme a mia madre Cerere.”
 
 
La storia di Proserpina mi affascinò molto perché dopotutto era una storia d'amore.
Alla conclusione del racconto, vicino alla sua statua vidi apparire Zimu, la mia guida, che fece segno di avvicinarmi ad altre due figure, Echidna e suo figlio Cerbero.
Questa volta la statue non parlarono ma fu Zimu a raccontarmi qualcosa di loro. Sinceramente ero molto stanca, il mio viaggio si stava per concludere ed io non prestai molta attenzione. Ricordo solo che mi raccontò di questo mostro metà donna e metà serpente che sarebbe stata uccisa da Argo perchè divorava gli uomini che passavano davanti la sua dimora, una caverna della Cilicia.
Per quanto riguarda il figlio Cerbero era uno dei mostri a guardia dell'ingresso dell'Ade e le sue tre teste simboleggiavano la distruzione del passato, del presente e del futuro.


 
 
 
 
 


LA FINE DELLA MIA FANTASTICA AVVENTURA


Il sole era quasi del tutto tramontato, rimaneva poco tempo per completare la mia missione. Ad un tratto vidi una graziosa costruzione...sembrava un tempio greco. Mi avvicinai, entrai dentro e notai sul soffitto degli affreschi che avevano come soggetto un tema insolito per un luogo religioso: i segni zodiacali.




Ma la cosa che attrasse la mia attenzione fu il fatto che questi disegni erano disposti non secondo l'ordine dello zodiaco, ma del sistema solare. Infatti l'abside corrispondeva al mese di Luglio e del segno del Leone, governato dal sole; poi notai il segno del cancro con la luna, successivamente vidi tutti gli altri pianeti. All'improvviso proprio vicino l'abside mi accorsi della presenza di Vicino Orsini e della sua giovane moglie che sorridendo, mi salutarono con un gesto della mano. Non li parlai perché ad un tratto scomparvero come se fossero stati risucchiati da un vortice di raggi solari.

Dopo un paio di minuti sentii provenire dall'esterno delle voci umane e per di più a me familiari...si, caro diario, erano i miei genitori.

-Giulia, ma dove sei stata e più di mezz'ora che ti stiamo cercando io e tua madre. Sei sempre la solita perditempo...

-Ma papà, se ti raccontassi quello che mi è successo, non mi crederesti-

-Si, magari mi dirai di aver incontrato i principi Orsini o che le statue al tuo passaggio si animavano.-

-E tu come fai a saperlo?-

-Scherzi, è sempre quello che mi raccontava di aver vissuto tua nonna materna.-

Completamente sconvolta da questa notizia, imbambolata, direi quasi stordita, mi incamminai verso l'uscita del giardino.

Mi voltai per l'ultima volta e vicino al cancello, da dove era iniziato il mio viaggio, vidi tre persone, anzi quattro....Chi erano? Naturalmente i miei nonni e i principi Orsini.